Ibride plug-in e flotte, come farne una scelta green
Sostenibilità, riduzione delle emissioni, buone pratiche “green” e auto ibride ed elettriche: nell’agenda delle Istituzioni e nella nostra vita quotidiana, questi temi sono diventati le priorità e le urgenze per cercare di arginare gli effetti della nostra vita sulla Terra rispetto al cambiamento climatico. L’Unione Europea, così come lo Stato Italiano, ha cercato di sostenere le aziende sia con incentivi che con vincoli ad essere più virtuose: pensiamo ai bilanci green e alcuni paletti circa le attività industriali.
Addio diesel, benvenute nuove motorizzazioni
In questo quadro rientrano scelte importanti come quella del progressivo abbandono delle vetture con motorizzazioni diesel e con alte emissioni di CO2 da parte delle flotte aziendali e a favore di auto più “pulite”. Anche i driver stessi sono stati incoraggiati ad approcciare le nuove motorizzazioni ibride ed elettriche: basti pensare agli sgravi fiscali per le auto “green”. Negli ultimi tempi abbiamo così visto arrivare sul mercato diversi modelli Plug-In, ovvero motori ibridi che sono spinti sia da propulsori elettrici che termici e possono usufruire della ricarica delle batterie attraverso la corrente elettrica casalinga.
Ibride ok, ma attenzione alla formazione dei driver
Su questo filone si è aperta di recente una discussione che sta creando un dibattito acceso: questa tipologia di auto - ovvero le ibride Plug-In - hanno veramente un senso, o fanno parte di quel fenomeno chiamato “greenwashing” dove pratiche ecologiste sono assunte soprattutto come facciata ma non hanno una reale vocazione alla sostenibilità?
Qual è il punto? Le ibride plug in hanno percorrenze medie dichiarate ed emissioni di CO2 davvero molto basse ma solo se utilizzate come sono state concepite: ricaricando le batterie. I consumi che vediamo indicati nelle riviste di settore che sembrano davvero interessanti, sono dovuti alle prove che vengono fatte con le batterie cariche. Ovvero, ipotizziamo che si tratti di un ciclo di 60 km, la metà dei quali percorsi in città, 15 extraurbano e 15 in autostrada: con le batterie completamente cariche tutto il primo tratto urbano potrà essere percorso in elettrico, la seconda parte quasi interamente. Se poi usiamo anche un litro di benzina per percorrere gli ultimi 15 km, capirete che di fatto avremo utilizzato un solo litro di carburante per 60 km. Davvero eccezionale.Se al contrario, però, partiamo con la batteria a zero, andremo a chiedere al nostro motore termico di portare “a spasso” una vettura che sconta un pesante pacco batterie ed è facile capire come i consumi aumentino in questo scenario senza considerare che le motorizzazioni ibride sono spesso sotto dimensionate e questo peggiora la situazione.
Un uso virtuoso fa bene anche al Pianeta
È quindi questa la normalità delle ibride plug-in? Di certo no, l’uso corretto è e resta virtuoso, ma i driver che non non hanno la possibilità di ricaricare in casa o sono “pigri” cercare una stazione di ricarica, scontano un utilizzo sicuramente poco green e altrettanto poco economico. La soluzione? La formazione. Spesso i conducenti non sono a conoscenza di queste situazioni, si trovano ad utilizzare vetture che non conoscono e approcciano le auto ibride come se fossero mezzi con il solo motore termico. Anche per questo incentivare l’adozione delle motorizzazioni plug-in in una car list aziendale può essere solo controproducente: è invece importante un’attenta selezione dei driver a cui destinare il motore PHEV, accompagnando la scelta con un’adeguata formazione iniziale e un costante monitoraggio sul corretto utilizzo. Questa è l’unica scelta corretta.